mercoledì 28 dicembre 2011

Esercizio N.1 - Prologo

Da pag.3 del Malingut N.5

Barbara

Perdonate l’irruenza di questo preambolo laido e sconsiderato ma urge, in ossequio al tanto agognato quieto vivere, chiarire fin d’ora la mia netta e inamovibile posizione riguardo un tema a mio (insignificante) avviso pregnante vista la sua esplicita e quanto mai impellente connotazione socio-antropologica: non vuole dunque essere il mio un proclama eugenetico né tantomeno un manifesto-crociata a danno di una seppur sempre crescente minoranza.
Anzi...
Sì.
Perché quella del “vecchiaccio” viene di fatto - e con manifesta evidenza - a presentarsi non più come semplice e greve alternativa formale al ben più agevole “anziano” o - allorché il triviale sposa sfiorando lieve il poetare – “vecchio”, ma bensì sottoforma di chiara e decisa affermazione di una “categoria dello spirito” comunque restia al divenire vera e propria identità riconosciuta, vuoi per la palese genuflessione gerontocratizzante nei confronti di quel sibillino cancro che è il “politically correct”, vuoi per la volontà dei Governi di sollazzarsi in onanismi fiscali e previdenziali, vuoi perché, più prosaicamente, chissenefrega.
Ebbene: il “vecchiaccio” non è banalmente il semplice prodotto di una barbarie lessicale.
Il “vecchiaccio” C'É ed ESISTE non (solo) come scorbutica figuretta da ballatojo, come scatarrante feticcio di giovani Pelè da cortile ma, al contrario, come rilevante realtà antropologica capace di condizionare non poco le dinamiche intrinseche dei comportamenti all’interno di una società complessa.
Come già brevemente accennato, ma è bene ribadire, il “vecchiaccio” si presenta ineluttabilmente, ed è condizione necessaria e determinante in toto la sua esistenza ed essenza stessa, come rompicoglioni: a differenza del “vecchio”, per il quale au contraire è sua ammirevole virtù quella di spacciare la propria demenza senile per estrema e ineffabile gioia pel vivere sublime, il “vecchiaccio” sa tingere indelebilmente di misantropia scellerata la propria andropausa galoppante, regalando a piene mani oceani di merda e al quotidiano convivio e all’ignaro forestiero evaso dal condominio attiguo, avvalendosi così dell’invidiabile appellativo di “copropoeta”.
Parafrasando il beneamato Jean Paul, l’inferno sono gli altri per lui.

Barbara d’Urso è la figlia che ogni vecchiaccio vorrebbe avere.

Ecco il nostro. Vecchio. Anzi, vecchiaccio.
Lasciata per un istante la vedetta, eccolo scendere le scale con sciancata bestemmiaggine. L’ascensore non lo prende mai perché ha paura di incrociare il punkabbestia del piano sopra, che puzza e ha le pulci. Ma questo è ovvio.
Esce dal retro, altero.
Gli brucia la facciaccia
è colpa dell’inquinamento.
Nuova Fuliggine Industriale
No amico mio, si chiama “ossigeno”.
Ecco il nostro. Vecchio. Anzi, vecchiaccio dirigersi biblico smorfiosetto verso l’ara al piano terra, simulacro dei faticanti a mezzodì, neapolis al numero civico, agorà orwelliana.
Il bar.

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