mercoledì 28 dicembre 2011

Esercizio N.1 - Epilogo

Da pag.3 del Malingut N.5

È pomeriggio e al TV c’è Magalli in linea con una casalinga tutta presa dal servizio di piatti in melammina di Pukka, (“perché signora questi sono infrangibbili”). Sull’1 dan solo preti però sul 2 c’è L’isola dei Famosi... e c’è un culo, sporco di fango.
Sul 4 c’è un culo e basta e sta conducendo il tg (Darwin avrebbe molto da dire). Sul 6 c’è un culo e sta preparando una ricetta (Freud avrebbe molto da dire). Il tre e il sette sono off limits.
Ma sul 5,
sì,
su CANALE 5 c’è Lei.
Essa.
“Soave, vergine e madrina” (per dirla con Pueno), nutrice catodica, badante audiovisiva, chiaro esempio di nanny broadcasting, tutta donna, la Barbarona nazionale, gonfia, bella.
Sta piangendo, puveriella. Piange al sentire la storia di Marco che ora è Annalisa, piange per Rosina che prende 400 euro di pensione, piange per Assunta investita dal pirata della strada, piange per Ralph trovato legato al guard rail.
Dedica applausi. Lancia appelli. Accoglie materna tra le sue tettone.
Mi sarebbe piaciuto blaterare di tutto questo nuovo rotocalco sturm und drang col vecchio bavoso di fronte alle bustine di zucchero, ma vengo a sapere celere dall’oste (grazie oste) che l’assenza del mio compagno di psicotico delirio si deve proprio al programma pomeridiano della d’Urso, aggiungendo solerte (e convinto di farmi un piacere) che, dacché gestisce il bar, non l’ha mai visto perdersene neanche un secondo.
Non mi meraviglio.
In fondo, povero pazzo, che male fa? Giacché quella di farsi i cazzi degli altri è natura intrinseca della sua condizione di vecchiaccio, che almeno se li faccia virtualmente col Telefunken.
Poi il barista, inaspettatamente aggiunge:
“Poveraccio...”
“Perché?”
“Sei anni fa, in Afghanistan: gli è morto il figlio”.

Esercizio N.1 - Prologo

Da pag.3 del Malingut N.5

Barbara

Perdonate l’irruenza di questo preambolo laido e sconsiderato ma urge, in ossequio al tanto agognato quieto vivere, chiarire fin d’ora la mia netta e inamovibile posizione riguardo un tema a mio (insignificante) avviso pregnante vista la sua esplicita e quanto mai impellente connotazione socio-antropologica: non vuole dunque essere il mio un proclama eugenetico né tantomeno un manifesto-crociata a danno di una seppur sempre crescente minoranza.
Anzi...
Sì.
Perché quella del “vecchiaccio” viene di fatto - e con manifesta evidenza - a presentarsi non più come semplice e greve alternativa formale al ben più agevole “anziano” o - allorché il triviale sposa sfiorando lieve il poetare – “vecchio”, ma bensì sottoforma di chiara e decisa affermazione di una “categoria dello spirito” comunque restia al divenire vera e propria identità riconosciuta, vuoi per la palese genuflessione gerontocratizzante nei confronti di quel sibillino cancro che è il “politically correct”, vuoi per la volontà dei Governi di sollazzarsi in onanismi fiscali e previdenziali, vuoi perché, più prosaicamente, chissenefrega.
Ebbene: il “vecchiaccio” non è banalmente il semplice prodotto di una barbarie lessicale.
Il “vecchiaccio” C'É ed ESISTE non (solo) come scorbutica figuretta da ballatojo, come scatarrante feticcio di giovani Pelè da cortile ma, al contrario, come rilevante realtà antropologica capace di condizionare non poco le dinamiche intrinseche dei comportamenti all’interno di una società complessa.
Come già brevemente accennato, ma è bene ribadire, il “vecchiaccio” si presenta ineluttabilmente, ed è condizione necessaria e determinante in toto la sua esistenza ed essenza stessa, come rompicoglioni: a differenza del “vecchio”, per il quale au contraire è sua ammirevole virtù quella di spacciare la propria demenza senile per estrema e ineffabile gioia pel vivere sublime, il “vecchiaccio” sa tingere indelebilmente di misantropia scellerata la propria andropausa galoppante, regalando a piene mani oceani di merda e al quotidiano convivio e all’ignaro forestiero evaso dal condominio attiguo, avvalendosi così dell’invidiabile appellativo di “copropoeta”.
Parafrasando il beneamato Jean Paul, l’inferno sono gli altri per lui.

Barbara d’Urso è la figlia che ogni vecchiaccio vorrebbe avere.

Ecco il nostro. Vecchio. Anzi, vecchiaccio.
Lasciata per un istante la vedetta, eccolo scendere le scale con sciancata bestemmiaggine. L’ascensore non lo prende mai perché ha paura di incrociare il punkabbestia del piano sopra, che puzza e ha le pulci. Ma questo è ovvio.
Esce dal retro, altero.
Gli brucia la facciaccia
è colpa dell’inquinamento.
Nuova Fuliggine Industriale
No amico mio, si chiama “ossigeno”.
Ecco il nostro. Vecchio. Anzi, vecchiaccio dirigersi biblico smorfiosetto verso l’ara al piano terra, simulacro dei faticanti a mezzodì, neapolis al numero civico, agorà orwelliana.
Il bar.

Numero5: Rosa & Nero

Amore e morte sono cugini.
E il Malingut è loro cognato.
Ecco il nuovo tempestoso quanto estemporaneo, ludico quanto lubrico, numero di questa meravigliosa rivista...
Buona lettura digitale!

Copia e incolla nella barra degli indirizzi e vedrai la luce: http://issuu.com/malingut/docs/rosa_nero_consultazione